“Il Gioco Infinito”, tra Sinek e Magris

È possibile vincere una partita che non ha fine?

Simon Sinek è uno scrittore, saggista e motivatore americano di fama internazionale. Ho recentemente letto il suo ultimo libro, edito in Italia per Vallardi (18€, 237 pag.), intitolato “Il gioco infinito“.

Generalmente non leggo saggi “motivazionali”, che parlano di come affrontare la vita, perché si propongono – spesso – di dare soluzioni e poi, leggendoli, non se ne trovano mai, in una mancanza generale di concretezza e profondità.

Questo però, l’ho scelto a prescindere perché da un po’ di tempo seguo l’autore, soprattutto su LinkedIn. Il modo di affrontare le cose di cui parla lo tolgono dai tesserati in ciarlataneria – quale sarebbe la categoria di appartenenza – per metterlo tra quelli che hanno qualcosa da dire, e infatti è diventato famoso in tutto il mondo per questo video sui Millennials.

Si può intuire subito una delle doti di Sinek: la capacità di parlare in modo sintetico e semplice di cose complesse.

Cito dalla quarta di copertina:

Nei giochi finiti i giocatori sono noti, le regole fisse e l’obiettivo chiaro: secondo la teoria di James P. Carse, si tratta di partite – come nel calcio o negli scacchi – dove chi vince e chi perde è facilmente individuabile. Nei giochi infiniti, invece, come il business, la politica o la vita, i giocatori vanno e vengono, le regole sono mutevoli e non c’è un obiettivo definito. Non ci sono vincitori e vinti, non esistono concetti come «vincere il business» o «vincere la vita», ma c’è solo chi è avanti e chi rimane indietro. […] Per molte organizzazioni le difficoltà nascono dal fatto che chi le guida affronta un gioco infinito con una mentalità finita: sono le società che perdono il passo sul terreno dell’innovazione, della motivazione e della performance. I leader che abbracciano una visione infinita, invece, costruiscono imprese forti, innovative, ispirate.

Ecco, riassunto il libro. Se volessi parlare solo di quello mi fermerei qui, ma “Il gioco infinito” ha aperto alcuni spunti che mi piacerebbe condividere.

Sinek spiega come, a differenza dei giochi propriamente intesi con campi, palle, reti, canestri, traguardi e quindi – e soprattutto – punti e classifiche, nella vita e nel lavoro non c’è punteggio. Affrontare queste ultime, e soprattutto il business con questo atteggiamento mentale, forse premia nel breve-medio termine, se il nostro scopo è massimizzare il valore dell’oggi e per gli shareholders, à la Friedman.

Ma quello che a noi dovrebbe interessare è aumentare il nostro bene-essere, che non può non avere prospettive di lungo termine, costruendo un viaggio altrettanto infinito verso una meta non quantificabile. Quindi licenziare dipendenti per rispettare una performance che abbiamo stabilito è l’esempio principe. Molto infatti gioca sulla visione finita (e abusata) oppure infinita del capitalismo in senso ampio, alla fine.

Se si amplia lo sguardo – ed è questo, per me, il merito del libro – il gioco finito-infinito si dispiega nella vita, nell’atteggiamento mentale verso, tipo, tutto. Andare, tornare, scegliere, iniziare, finire… Scegliere una mentalità infinita significa sapere che il tempo continua a correre, che il nostro orizzonte sarà sempre diverso e che le azioni di oggi hanno una ricaduta sul futuro dentro di noi e fuori di noi. La mentalità infinita è quella di chi vive per costruire, non per fare “risultati”.

La prima cosa che mi è venuta in mente, leggendo il testo di Sinek, è il prologo di – fatalità“L’infinito viaggiare” di Claudio Magris, uno dei più grandi autori della nostra epoca che in questo libro raccoglie spunti diretti di vita, viaggio e scrittura. Collego Magris alla sua opera, e per me entrambi sono direttamente collegati al concetto in sé di infinito, per questo motivo: è infinito qualcosa che non ha confini, è eterno ciò che non ha inizio né fine, mentre possiamo dire sempiterno ciò che ha inizio ma non ha fine. Il suo libro più famoso, “Danubio“, si apre con la ricerca delle sorgenti del grande fiume blu, dibattute tra più luoghi. E un fiume sarebbe di per sé un’entità con inizio e con fine, quindi finita, ma sappiamo che l’acqua non si ferma nemmeno dopo la foce, nel suo ciclo continuo. Quindi un fiume sarebbe tutt’al più sempiterno, perché ha inizio ma non fine. Ma se non si trova la fonte? Non c’è inizio, né fine, né confine. Il fiume è così, allora, infinito.

In copertina un particolare di Versailles, fotografata da Luigi Ghirri.

Il collegamento è ovviamente nato per la parola infinito contenuta nei due titoli, eppure penso che entrambi i libri trattino un aspetto diverso dello stesso soggetto. Lascio l’evidenza alle parole al germanista, sperando che ai tre lettori di questo articolo dicano qualcosa come hanno detto a me.

[…] perché il viaggio – nel mondo e sulla carta – è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo.”