Da quando esiste sono sempre stato un frequentatore degli eventi del Guanxinet, un luogo dove le idee fanno rete. Ad uno di quegli eventi ho conosciuto due ragazzi, Marco e Francesca. Erano poco più grandi di me, ma molto più avanti su tantissime cose. Erano un po’ quello che sarei voluto essere: persone che si mettevano in gioco al 100% per un’idea da concretizzare al meglio possibile.
Ebbi subito stima nei loro confronti, e ne seguii le attività anche da vicino, avendo la fortuna di condividere l’università con loro. Nell’inverno del 2013, alla presentazione di un libro di Sebastiano Zanolli, venni a conoscenza che stavano progettando e pianificando un Summer Camp innovativo, da tenersi in H-Farm, un incubatore di startup e all’epoca Venture Capital.
30 studenti dalle maggiori università di Giurisprudenza ed Economia avrebbero affrontato un percorso di ricerca scoperta nel Triveneto, esplorando quelle idee di business che rendono il “Made in Italy” così celebre nel mondo. Era un progetto innovativo perché si proponeva di rivoluzionare il modo di trovare soluzioni inusuali per problemi che, nei canali tradizionali, non avevano risposta.
La visione di Francesca e Marco era così forte che era riuscita a catalizzare l’attenzione di quelle che sono delle vere e proprie potenze industriali oltre che alfieri del Made in Italy: Ferragamo, Moncler, OTB – Diesel, Santa Margherita Vini – Ca’ del Bosco, La Biennale di Venezia, Keyline, Carraro, Selle Royal.
Ma non solo: a trainare i partecipanti ci sarebbero stati docenti all’avanguardia delle loro materie. A partire da Bill Emmott, giornalista di fama internazionale, già direttore dell’Economist. Tra gli altri ricordo gli interventi di grande impatto di Robert J. Jackson Jr., membro della SEC Commission e professore di Corporate Governance alla New York University Law School; o il racconto, l’ispirazione e la forza coraggiosa di Renzo Rosso, fondatore di Diesel e del gruppo OTB; la visione veramente moderna dell’arte di Paolo Baratta, presidente della Fondazione La Biennale di Venezia; il forte esempio di Riccardo Illy, patron dell’omonimo brand di caffè; la grande capacità tecnica di Erik Gordon, direttore del fondo Wolverine Venture Fund; la padronanza dell’argomento, la profondità di analisi e la capacità di trasmetterla del professor Paolo Gubitta; e per finire la peculiare sensibilità intellettuale di Alexandra Fattal, corrispondente dall’Italia per l’Economist.
Fu un’esperienza fuori da ogni scala, in cui entrai però dalla porta di servizio. Mi candidai per partecipare come studente, dato che all’epoca ero alla ricerca del vero senso di ciò che stavo studiando all’università e non trovavo spiegazione diretta in ciò che i miei docenti rappresentavano.
Non venni selezionato, perché ero ancora troppo all’inizio del mio percorso di studi e non sarei stato in grado di relazionarmi al meglio dal punto di vista tecnico con i miei colleghi che, venendo direttamente dai programmi di business management di università come Stanford o Yale, potevano garantire già una preparazione di alto profilo.
Francesca e Marco però mi chiesero di partecipare come membro dello staff, per aiutare a coordinare i vari team all’interno del progetto, a nostra volta inseriti in un team di Camp Manager. Mi sarei trasferito per quel mese 24/7 a Ca’ Tron, la residenza per gli startupper di H-Farm, e sarei stato a disposizione per le varie necessità. Accettai senza dubitare: non avrei avuto la preparazione tecnica in Law&Economics, ma di sicuro potevo mettere in campo tutto me stesso nel resto.
Così fu. Feci subito amicizia col mio collega camp manager e compagno di stanza Konstantine, un mio coetaneo di grande capacità di origine greca che all’epoca si era già laureato (“Americani”: alle scuole elementari, alla fine del secondo anno lo promossero direttamente al quinto…) e stava completando il suo MBA alla Stanford Graduate School. Poi con me c’erano Cecilia, che si stava laureando in Giurisprudenza in quei giorni ed oggi è avvocato a Londra, e Anna, che ora è un Magistrato della Repubblica. Con Francesca e Marco eravamo un buon team: non mancarono i momenti di frizione, ma furono funzionali a concludere un’esperienza che nessuno avrebbe mai potuto fare altrimenti.
Orari da combaciare, spostamenti da pianificare, fornitori da organizzare. Viaggi andata e ritorno all’aeroporto nel cuore della notte per accogliere ed accompagnare gli ospiti…è stata un po’ una naja del project management.
Ho potuto lavorare a stretto contatto con i manager delle aziende che stimavo da osservatore, e vedere da vicino i processi e i metodi messi in campo da loro e dai docenti nell’analisi delle problematiche che si presentavano di volta in volta.
Ho avuto modo di vedere in prima persona la struttura di un incubatore di startup delle dimensioni di H-Farm, che si stava preparando alla quotazione in borsa. Conoscerne i fondatori e dirigenti, Riccardo Donadon e Maurizio Rossi, è stato fondamentale per le mie scelte future. Loro, per me, sono diventati degli esempi.
E poi la convivenza di ragazzi da tutto il mondo in un unico posto, a condividere momenti anche complessi dal punto di vista umano per la concentrazione a tempo pieno su un singolo progetto.
Ho visto da vicino cosa poteva essere il futuro se solo avessimo deciso di spenderci in prima persone, con le nostre forze e le nostre idee al servizio di ciò che abbiamo a cuore.
Lì ho visto che quello che stavo studiando poteva diventare realmente utile, ma tutto dipendeva da quello che io ne avrei fatto.
Fu responsabilizzante, ma fu anche – e finalmente – una iniezione diretta di pura Libertà, che entrava in circolo e iniziava a sedimentare.